La più grande spedizione italiana in Asia, un secolo dopo.

Estate 1913: parte l’imponente missione italiana sul Karakorum. Una carovana di 250 portatori che si snoda come un serpente per 2.000 km.
Nella fotografia: Filippo De Filippi, ultimo a destra, con il duca degli Abruzzi, seduto a sinistra.

Gli esploratori che fecero l’impresa

È trascorso un secolo dalla spedizione di Filippo De Filippi nella catena del Karakorum. Il chirurgo torinese, appassionato di montagna e compagno del Duca degli Abruzzi in molte sue imprese, nell’estate del 1913 salpò con un piroscafo dal porto di Marsiglia alla volta di Bombay (Mumbai); l’obiettivo era quello di attraversare l’intera catena montuosa. Tra l’agosto di quell’anno e il dicembre del 1914 De Filppi guidò un gruppo di esploratori e studiosi di scienze geografiche dal Kashmir, superando il Baltistan, poi il Ladakh per giungere nel Turkestan russo e da lì rientrare in Europa.

L’impresa degli esploratori italiani fu un’opera dai grandi numeri: 235 casse di materiale trasportato da una carovana di 200-250 portatori che si snodò come un serpente per 2.000 chilometri. La carovana superò territori  aridi e scabrosi, valli puntellate da oasi o percorse da fiumi impetuosi, ghiacciai e passi immersi nella neve, attraversando il Karakorum da sud a nord.

Il progetto ebbe il costo di (ben) 250.000 lire, che De Filippi ottenne dal Re d’Italia e da istituti come l’Accademia dei Lincei, la Reale Società Geografica, il Governo dell’India, e perfino la Royal Society di Londra.

L’esplorazione della “dimora delle nevi” era alimentata da un autentico interesse scientifico. De Filippi ambiva a chiudere i molti capitoli aperti sulla geografia dell’immensa catena montuosa asiatica, per farlo portò con sè esperti (e strumenti delicatissimi) con cui studire la gravità ed il magnetismo terrestri, la radiazione solare, la circolazione atmosferica, la geologia e la geomorfologia ed, infine, per tracciare gli ultimi limiti topografici di una regione himalayana in gran parte ancora abbozzata sulle carte geografiche.

La spedizione rimpatriò il 18 dicembre del 1914. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale stava ridisegnando le frontiere dei Paesi europei e le scoperte dei nuovi confini orografici del Karakorum non erano certo una priorità. La spedizione geografica, i 17 volumi di studi, e le 4.000 fotografie, vennero quindi quasi scordati, complice un secondo conflitto mondiale. Tanto che i diari di De Filippi andarono perduti insieme a molte fotografie storiche.

Una delle esplorazioni geografiche più importanti della storia moderna del nostro paese sarebbe dunque rimasta ancora a lungo nell’ombra. Il recente ritrovamento dei diari presso l’Istituto di Geografia dell’Università degli Studi di Firenze, con la partecipazione del comitato Ev-K2-CNR, della Società Geografica Italiana e della Società di Studi Geografici di Firenze ha però (fortunatamente) riportato alla luce l’impresa di De Filippi.

Da National Geographic Italia

6 Agosto 1945, ore 8,15 (ora del Pacifico).

Oltre alla Geografia (materia a noi più congeniale) ci piace anche la Storia e, visto che “in giro” non se ne parla molto, ci sembra doveroso ricordare un evento di questa portata.

Il mattino del 6 agosto 1945 alle 8,15 (c’è chi riporta le 8,16) l’Aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita tre giorni dopo dal lancio dell’ordigno “Fat Man” su Nagasaki. Clicca qui – Un minuto di Storia/Archivi RAI

Enola Gay è il nome del bombardiere B-29 Superfortress che poco prima del termine della seconda guerra mondiale, sganciò sulla città giapponese la prima bomba atomica della storia ad essere stata utilizzata in guerra. Enola Gay era il nome della madre del pilota Paul Tibbets, ai comandi del B-29. Video – Enola Gay/OMD

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/70/B-29_Enola_Gay_w_Crews.jpg/640px-B-29_Enola_Gay_w_Crews.jpg

C’è folla sull’Everest !

Notizie leggere in questo periodo !

L’Everest, la Montagna per eccellenza è invasa dalle spedizioni e dai rifiuti, ed è ormai un esempio negativo per l’alpinismo. Sul numero di Giugno di National Geographic troviamo un reportage relativo alla folla di persone che sale sull’EVEREST.  Continua a leggere.

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